Avete presente come funziona dentro una grossa azienda? Ci sono i dipendenti alla base e poi c'è una governance, l'organo decisionale che esprime il consiglio di amministrazione e l'uomo forte che indica la strada da percorrere, le decisioni da prendere. Ecco, in Cosa nostra funziona esattamente così. Le ultime parole da "uomo d'onore" di Giuseppe Quaranta, prima di passare dalla parte della giustizia ed intraprendere il percorso di collaborazione con i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, sono state eloquenti in tal senso: "Noi siamo il fiore all'occhiello di Cosa nostra". [caption id="attachment_302333" align="aligncenter" width="206"] Giuseppe Quaranta[/caption] In provincia di Agrigento di uomini forti e di governance ne sono cambiate parecchie. E, ad ogni cambiamento di potere, è corrisposto automaticamente un mutamento nelle famiglie, nei capi, negli uomini fedeli al vertice. Grazie alle più o meno recenti operazioni di polizia condotte sul territorio della provincia di Agrigento è possibile - oggi - ricostruire una vera e propria cartina geografica della mafia agrigentina: sette mandamenti, oltre quaranta famiglie mafiose: alcune emergenti, altre ancora custodi di quei "valori" della tradizione di Cosa nostra. E, come si diceva, funziona proprio come in una grande azienda. Tutti all'interno della stessa struttura ma negli anni, chi comanda, esprime la governance su tutta la provincia. Per tentare l'ambiziosa azione di ricostruire tutti gli assetti operativi di Cosa nostra agrigentina, con nomi, cognomi e facce di chi la sorregge, bisogna conoscere la storia. E, dunque, occorre fare parecchi passi indietro nel tempo. Gli arresti di Maurizio Di Gati, Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina (tra il 2004 ed il 2010) chiude la stagione dei grandi latitanti nell'agrigentino e impone una necessaria riorganizzazione di tutte le famiglie. I tre mafiosi appena citati sono stati per anni espressione del potere mafioso in provincia di Agrigento, il vertice assoluto. Cos'è successo da allora fino ad oggi? Come si sono organizzate le famiglie dopo la fine della stagione dei latitanti? Chi sono gli uomini d'onore che oggi esprimono la governance di Cosa nostra agrigentina? Si può ricostruire tutto, con nomi e cognomi ma, prima di passare agli odierni mandamenti, è necessario studiare, cercare storia, ricordi e imprese mafiose. Ed allora bisogna distinguere due tipi di mafia. Due tipi e due modelli di criminalità organizzata che hanno come caposaldi le stragi, il tritolo e l'acido per squagliare i bambini e miseri predestinati (la mafia odierna che passa dai corleonesi sino ad arrivare a Matteo Messina Denaro) oppure quella delle quotazioni in borsa, delle grandi costruzioni come il raddoppio del ponte sul Bosforo, le olimpiadi di Montreal, il tentativo di fare il ponte sullo Stretto di Messina o le alleanze politiche e mafiose in America, Sudamerica e Nordamerica. In questo caso la storia ci porta dritti al clan Caruana e Cuntrera, un manipolo di siculianesi (da Siculiana, provincia di Agrigento) che hanno creato un impero, anzi, molto di più: un antistato transnazionale con riferimenti diretti in Usa, Canada, Venezuela, Colombia, Italia, Inghilterra, Olanda, Svizzera, e le borse di tutto il mondo. [gallery ids="230112,242216,230115,230113,230114,240836"] Sono i cosiddetti "siculianesi", gli uomini che oggi sono rappresentati mafiosamente dai Rizzuto (famiglia originaria di Cattolica Eraclea, comune confinante con Siculiana) le cui propaggini adesso ci portano anche ad Ostia, teatro di clamorose vicende mafiose. Provate a trovare un corleonese alle prese con le operazioni di borsa. La letteratura mafiosa ci porta ben più miseramente ad altri scenari. Non può tacersi che la mafia agrigentina, quella che conta, di cui il pentito Quaranta conserva nella memoria uno sbiadito fotogramma, ha sempre avuto negli anni un potere estremo e rivoluzionario rispetto all'intero organigramma mafioso siciliano. (Fine Prima Parte)
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